Il mio primo tavolaccio

Una domenica riesco ad avere un permesso giornaliero. 

Con il mio amico facciamo l’autostop fino a Rivoli ed andiamo a casa mia. Mia madre contentissima di vedermi (da militare mi ha visto poche volte) ci prepara un pranzo con i fiocchi; anche mio padre contento tira fuori il vino più buono che ha. 

Eravamo già allegri, passiamo ancora al Caffè Torino a salutare gli amici e prendiamo una bottiglia di Botafogo (era un cognac).

Arriviamo a Porta Nuova, ora di prendere il treno, troviamo i compagni di naia e comincia lo sfottò; dicevano che io ed il mio amico non eravamo capaci di prendere il treno dopo.

Ciò comportava di saltare il muro per rientrare. Siamo stati capaci di farlo; anche perché in corso Stati Uniti avevo una conoscente, una di quelle che te la davano pagando con un pò di sconto.

Prendiamo il treno dopo, era più o meno mezzanotte, però a Cavallermaggiore bisognava cambiare ma, un pò la stanchezza, un pò il cognac ci siamo addormentati. Mi sveglio di colpo, chiamo l’amico.   Spaventati (non sapevamo dove eravamo) il treno si ferma guardiamo la stazione: era Ceva.
Saltiamo giù “e adesso cosa facciamo?”. Erano le cinque/cinque e trenta.
Ci mettiamo sulla strada a fare l’autostop; si ferma un camion carico di pecore, salgo in mezzo a loro.  
Per fortuna andava verso Vinadio, perciò passava proprio davanti alla caserma.
 

Oramai non c’era più bisogno di saltare il muro e quindi entriamo dalla porta principale, tanto avevamo già fatto colazione.

Il tenente urla di andare a cambiarci per fare la marcia con le manovre. Oramai sapevamo la fine che ci sarebbe toccata e perciò ci siamo portati anche la bottiglia di Botafogo.

E’ andato tutto bene, solo che alla sera dopo cena ci siamo presi la coperta, ci hanno tolto cinghia, lacci e tutte le cose che avevamo in tasca.

Per dormire non c’era la branda ma un terribile tavolaccio duro, in discesa, con al fondo un listello che frenava la caduta.

Le notti sono state quindici, con lo sfottò dei compagni che ridevano del treno.

Poi però c’era la solidarietà, allora di nascosto ci portavano una coperta in più e un cuscino, per il primo ma non ultimo tavolaccio.

Abbiamo pagato per la bravata e per l’amica, che si chiamava Manuela di corso Stati Uniti che faceva lavori socialmente utili!

                                                                  

Alpino Sergio Baudetto